Fiaba 1 – L’ape e la cicala (O milissi ce e cikala)

L’APE E LA CICALA (O milissi ce e cikala), raccontata da Micareddha a Calimera, il 23 agosto 1912, e raccolta da V. D. PALUMBO.

Ho scelto questa breve storiella per iniziare la nostra raccolta per diverse ragioni. Anzitutto perché mi sembra che essa, pur nella sua scarna essenzialità, esprima con semplice chiarezza un importante motivo della cultura tradizionale. In secondo luogo, perché questo testo, per lo stile del racconto ed il tono moraleggiante tipico di una favola, appare quasi isolato nell’insieme di tutta la raccolta, costituita in massima parte da fiabe e racconti. Infine perché della storia che vi si racconta, contrariamente a quasi tutte le altre storie che si incontreranno, molto più note e diffuse, ho trovato un unico riscontro, e precisamente in una raccolta di fiabe greche (GIANCANE, p. 41); quasi a testimonianza di un legame non solo linguistico tra i nostri paesi ed il mondo greco.

Nei quaderni di V. D. PALUMBO la favoletta compare in due versioni: una calimerese, che ho riportato, ed una di Martano, che è quasi uguale ad un testo pubblicato da M. CASSONI in Hellàs otrantina (p. 148). Nella versione martanese gli animali che rispondono negativamente all’invito della madre e ricevono di conseguenza la sua maledizione, sono, oltre alla cicala, lo scarafaggio e la formica.

Più vicino al testo di Martano è il racconto greco cui si è fatto cenno: esso elenca, però, tra gli animali non riconoscenti il porcospino, il ragno e la tartaruga.

          

icona2  O MILISSI C’E CIKALA

 

O milissi c’e cikala isan adèrfia.

           Os pèsane o ciuri ce e mana us èmbiefse fonàzonta, ti stèane ‘ttofsu. O milissi, ka ste vòscia us fiuru na sianosi meli, malappena tûkuse, èfike kundu vresi, – vijù! – pètase tarteo tarteo ce pirte.

            I’ cikala is to tûpa’ pu este ce ste kantali: – Vu! – ipe, – ka ‘vò ste ce kantalò; pos ènna kamo? Petei ti’ mànammu ti arte pu spicceo fse kantalisi èrkome -. Ce pirte essu vrain vrai. E mana, toppu irte cini, pirte is ipe: – Ka kiaterèddhamu, tosson ekkàntefse?   – Na e mànamu! – vòtise cini, – ka ‘vò icha na kantaliso! – Iche na kantalisis, ascimarda pu ise! Ka na kantalisi tosso tosso, sopu ‘en eskiattefsi. C’esù, pedàimmu, – vòtise sto milissi, – pu ste c’ìnonne meli c’èfike c’irte, toppu chezi, na chesi ce puru na kami meli.

            Jamposta o milissi kanni panta meli c’e cikala kantalì kantalì, ce kantalonta skiattei.

 

 

Micareddha (Calimera, 23 agosto 1912)

 

 

icona italiano                L’APE E LA CICALA

 

L’ape e la cicala erano sorelle.

Morì loro il padre, e la madre le mandò a chiamare dalla campagna. L’ape, che girava sui fiori per raccogliere miele, non appena lo seppe, smise immediatamente e – vijù! – volò dritta dritta e tornò.

Alla cicala lo dissero mentre era intenta a cantare: – Ahimé! – rispose, – io sto cantando, come devo fare? Dite a mia madre che, non appena avrò finito di cantare, tornerò a casa. E se ne tornò la sera tardi.   La madre, quando lei si ritirò, la riprese: – Figlia mia, perché hai tardato tanto? – Eh, mamma, – lei rispose, – io dovevo cantare! – Dovevi cantare, brutta che non sei altro! Possa tu cantare tanto tanto finché non scoppi. E tu, figlia mia, – si rivolse all’ape, – che stavi raccogliendo il miele e hai smesso e sei tornata, possa ogni volta cacciar miele dalle tue viscere.

Per questo l’ape fa sempre miele e la cicala canta, canta e, a furia di cantare, scoppia.

 

dal racconto di Micareddha (Calimera, 23 agosto 1912)

 

 

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