Fiaba 76 – Le tredici parole della verità (A dekatria loja is alìssia)

LE TREDICI PAROLE DELLA VERITA’ (A dekatria loja is alìssia), versione raccontata da Concetta a Calimera, il 9 ottobre 1885, e raccolta da V. D. PALUMBO.

            Questo racconto collega il motivo della promessa del figlio al diavolo (tipo 812 dell’indice AARNE-THOMPSON) con la recitazione delle dodici verità religiose (tipo 2010). Una sintesi analoga si trova in un testo dell’indice D’ARONCO (812 a).

            Gli altri riscontri che ho trovato sono solo parziali. Versioni simili al racconto cornice della nostra fiaba sono presenti nella raccolta di fiabe pugliesi di LA SORSA, in particolare in un testo di Seclì (Vol. III, Serie VII, 22) e tra i Testi neogreci di Calabria (Roccaforte, 39).

            La recitazione delle parole della verità, però in altro contesto, si trova in un racconto siciliano riferito da LO NIGRO (pp. 171-172) e in alcune fiabe greche (MEGAS, I, 29; LOUKATOS, p. 239). Da notare che in queste ultime le parole della verità sono, come nella nostra versione, tredici, mentre in tutte le altre dodici, per quanto il tredicesimo versetto del nostro testo è una semplice aggiunta conclusiva.

            A proposito del “dialogo in versi che ha per argomento delle singole battute altrettante verità di fede” LO NIGRO riporta (p. 172) una spiegazione di CANNIZZARO (Archivio I, p. 415), che trascrivo: “Il canto è la traduzione orale e popolare di una specie di insegnamento religioso dialogizzato in latino dai missionari cristiani del medioevo presso gli armoricani, per contrapporlo ad un vecchio canto druidico anteriore al VI secolo”.

            In uno studio di Ernesto DE MARTINO, infine, sulle pratiche magiche della Lucania (Sud e magia, Milano, 1989), si possono trovare alcuni versetti della formula religiosa presente nella nostra fiaba (precisamente i primi quattro) come parte di uno scongiuro recitato dai contadini di Marsico Nuovo contro la tempesta (p. 64).

A DEKATRIA LOJA IS ALÌSSIA

 

scvrivano rimpicciolito    Io’ mia forà c’io’ mia jineka, c’iche poddhì cerò pu iche armastonta c”en èkanne pedia. Kùonta on andra pu is kanni foné ce is estrolikei, ipe: – Oh, demoni, – ipe, – kame na kamo ena’ pedì: stu’ dòdeka chronu s’on dio ‘sena stesso -. Vresi ètimi tui ‘s alio cerò. Sekundu pu is ìbbie vantsèonta o pedì es ti’ cilia, tui pense: “Ènna di ti sekundu pu ipa ius ènnâne? Ti èkama, ti èkama, na kamo utti sorta tunì kàtara!”.

            Èftase ora, tui jènnise, ce èkame ena’ pedì. Doppu jennisi, mbece na iche tui charà, este prikì oli tin emera. Dopu nsìgnase na jeftì mea, nsìgnase na pai sti’ skola; ce, sekundu pu èguenne o pornò o kecci na pai sti’ skola, cini egle.

            Na mi’ tin bastàfsome poddhì makrea, èftase pu o kecci jetti mea. Motti pu sianònnaton atti’ skola c’ìbbie essu, e mana este prikì. Mian attes foré, in ìvrike klèonta o pedì, c’ipe: – Mamma, jatì klei? – Jatì kleo? Mu ponì e ciofali, pedàimmu, – ipe cini. Tappu guike o pornò na pai sti’ skola cino, pirte kuttento cino ti tûpe iu.

            Stôrti pu èkanne ti’ merenda, frùntefse tutto demoni ce u tûpe: – Pesti i’ mànassu ti o mprumiso èftase o cerò -. Ìchane spiccèfsonta èndeka chroni. Pirte essu c’ipe: – Mamma, – ipe, – frùntefsa o demonin, – ipe, – ce mûpe ti teli o mprumiso, ti èftase o cerò -. E mana, tappu is ipe iu, iche pono es ti’ kardia. Ce nsìgnase na klafsi cini. – Mamma, jatì kleis? – ipe cino. – Ah, pedàimmu, jatì kleo? – ipe cini: – Kleo jatì nghizi na se doko cinù pu sûpe ti teli o mprumiso. – Ce ‘sù jatì me mprumèttefses emena u demoniu? – Jatì, – ipe cini, – èmina tossu malu chronu na mi’ kamo pedia c’èkama tamma na doko ‘sena cinù pu sûpe ti teli o mpumiso. – Ce isa isa utto tamma iche na kami? – Ti eston iu ndiavolata ti o ciùrissu oli mera môkanne foné, ce èkama utto tamma. – Ce arte me nghizi na pao? – ipe o pedì ti’ mana. – ‘E pai pupeis, pedàimmu, – ipe cini; – stasu ‘cina ka o cerò èftase, – ipe; – ce ènnârti manechottu cino arte. Tappu cino mbenni ‘ttossu na piai ‘sena, evò ime kalì na kamo na mi’ se piai pleo.

            Ti èkame tui? Skandàgliefse in ora pu ènna pai, ti cini ‘en iche panta na pai n’u to pari u demoniu, stasi essu cini, èlise ta maddhia: toa stesso, motti cini iche spiccèfsonta atta maddhia fse lisi, èftase tuo, o kapurali; in ide iu ma ta maddhia limmena – o pedì tûche klìsonta stin addhi kàmbara na mi’ to di – mbike tuo ma ena’ fumo, m’in aria, c’ipe i’ mana: – Lu mprumisu, se no calu e pisu! (Èrkete sto pi: ka andé kaleo evò ce o pianno). Esù m’o mprumèttefse sì o no? – ipe cino. – Esù arte su fènaton òrio na su doko utto pedì vaftimenon esena? – Esù môkame tutto patto ti m’o di, ce ‘vò jamposta irta, oi m’o kalò, oi m’o tristo -. Nsomma tuo èkanne ena’ sakko rebattu ti o teli nfortsa.

            Motti pu ide pròbbio ti tuo te’ n’o piai, jetti stamesa u spidiu, tui, ma ta maddhia limmena, ce nsìgnase:

            Unu lu deum padre ci lu mundu sarva e mantegna e tu nimicu sfunda!

            Li doi su lu sole cu la luna. Unu lu deum padre…

            Li tre su li tre patriarchi: Arco, Bramo e Giacobbe. Li doi…

            Li quattru su li quattru evangelisti. Li tre…

            Li cinque su le cinque piaghe de Cristu. Li quattru…

            Li sei su li sei galli ci cantara a Galilea. Li cinque…

            Li sette su li sette candiglieri ci ardera sutta la grutta di Gerusalemme. Li sei…

            Li ottu su le ottu anime giuste. Li sette…

            Li nove su li nove cori de l’angeli. Li ottu…

            Li dieci su le decume de Cristu. Li nove…

            Li undici su li undici profeti ci profitara Cristu. Li dieci…

            Li dodici su li dodici apostoli ci cumpagnara Cristu. Li undici…

            Ertu lu celu e basciu lu mare e lu nimicu pozza sfundare.

            Ce tuo celì celì sfunde, ce sekundu ele o lô ìbbie sfundèonta, ce pleon ìbbie, pleo kau ìbbie. Epianni ce ipe o prama t’àscimo: – E alli tredici? – Alli tredici, – ipe cini, – no fummu de pattu: abri tarregnu e gnutti Satanassu! – Epianni ce osson ènifse o tarregno, èkame ena’ rebatto mea mea ce o katàbbie.

            Iu depoi eskàppefse o pedì cini pu citta chèria m’itti manera. Pirte depoi cini sti’ kàmbara pu iche o pedì: – Arte mi’ piai pleo pena; ise dikommu panta! – Ce ius estàsisa kalì kuttenti ce kalì kunsulai, ce àrtena stèune kaglio pi mai.

 

                                                                       Concetta (Calimera, 9 ottobre 1885)

 

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LE TREDICI VERITA’

 

C’era una volta una donna che si era sposata da molto tempo, ma non aveva figli. Stanca di sentire i rimproveri e le sfuriate del marito, un giorno disse: – Oh, diavolo, fammi avere un figlio: a dodici anni te lo renderò! – Dopo poco tempo restò incinta. Man mano che il bambino le cresceva in grembo, pensava: “Vuoi vedere che avverrà quello che ho detto? Cosa ho combinato! Che razza di peccato sono andata a commettere!”

Arrivò il momento, partorì e diede alla luce un bambino; ma, invece d’esser contenta della nascita del figlio, la donna era triste tutto il giorno. Il bambino cresceva, cominciò ad andare a scuola e, non appena egli usciva per recarsi a scuola, la madre piangeva.

Per non portarla per le lunghe, il figlio si fece grandicello; tornava a casa dalla scuola e trovava la madre afflitta. Una volta la vide piangere e le domandò: – Mamma, perché piangi? – Perché piango? Mi fa male la testa, figlio mio, – rispose. Pago della risposta, egli uscì per andare a scuola la mattina.

Il pomeriggio, mentre se ne tornava a casa, incontrò il diavolo: – Dì a tua madre, – gli disse il diavolo, – che il tempo della promessa è arrivato -. Erano infatti trascorsi undici anni. Una volta a casa, il ragazzo raccontò: – Mamma, ho incontrato il diavolo e mi ha detto che vuole quanto gli è stato promesso, che il tempo è arrivato -. A queste parole, la madre si sentì strappare il cuore e scoppiò in lacrime. – Mamma, perché piangi? – Ah, figlio mio, vuoi sapere perché? Perché devo darti a chi ti ha chiesto quanto promesso. – E tu perché mi hai promesso al diavolo? – Perché son rimasta tanti lunghi anni senza avere figli e ho fatto voto che avrei dato te a chi è venuto a cercarti. – Proprio un voto del genere dovevi fare? – Ero indiavolata per i romproveri che tuo padre mi faceva tutti i giorni e ho fatto quel voto. – Sicché ora me ne devo andare? – chiese il ragazzo. – Dove vuoi andare, figlio mio? Resta lì, ché il tempo è arrivato; dovrà presentarsi lui, ora; e, quando verrà a prenderti, so ben io come fare per non lasciarti portar via.

Cosa escogitò allora la madre? Calcolò l’ora in cui il diavolo sarebbe venuto, dal momento che lei non era andata a portargli il figlio, restò in casa e si sciolse i capelli. Aveva appena disfatto i capelli, che arrivò lui, il caporale; la vide così scarmigliata – il figlio era stato chiuso nell’altra stanza, per non esser visto – ed entrò tutto spavaldo e con arroganza disse: – Dammi ciò che mi spetta, altrimenti farò da me. Non sei stata tu a promettermelo? – E a te sembra giusto che io ti dia un figlio battezzato? – Era nei patti che me l’avresti dato; per questo son venuto, o con le buone o con le cattive -. Insomma, si mise a far trambusto perché lo voleva per forza.

Quando la madre capì che il diavolo non arretrava, si mise in mezzo alla stanza, con i capelli sciolti, e cominciò:

Uno è Dio padre, che il mondo salva e sorregge, e tu, nemico, sprofonda!

Due sono il sole con la luna. Uno è Dio padre…

Tre sono i tre patriarchi: Arco, Abramo e Giacobbe. Due sono…

Quattro sono i quattro evangelisti. Tre sono…

Cinque sono le cinque piaghe di Cristo. Quattro sono…

Sei sono i sei galli che cantarono a Galilea. Cinque sono…

Sette sono i sette candelieri che arsero nella grotta di Gerusalemme. Sei                sono…

Otto sono le otto anime giuste. Sette sono…

Nove sono i nove cori degli angeli. Otto sono…

Dieci sono le decime di Cristo. Nove sono…

Undici sono gli undici profeti che profetarono Cristo. Dieci sono…

Dodici sono i dodici apostoli che accompagnarono Cristo. Undici sono…

Alto è il cielo, profondo il mare, il nemico possa sprofondare!

E il diavolo pian piano sprofondava; ad ogni versetto andava giù; più lei continuava, più andava giù: – E tredici? – disse alla fine il demonio. – Tredici, – la donna rispose, – non sono stata ai patti; apriti, terra, e ingoia Satanasso! – All’improvviso la terra si spalancò, tra un grande frastuono, e inghiottì il diavolo.

Così la donna riuscì a liberare il figlio dalle mani del maligno. Andò poi nella stanza dov’era il ragazzo e disse: – Non stare più in pena; adesso sei mio per sempre! – E vissero felici e contenti, e adesso stanno ancor meglio di prima.

 

dal racconto di Concetta (Calimera, 9 ottobre 1885)

 

 

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