Fiaba 89 – L’avvocato e il diavolo (O kunto mon avokao)

L’AVVOCATO E IL DIAVOLO (O kunto mon avokao = Il racconto con l’avvocato), senza titolo nel manoscritto e appartenente a un gruppo di testi scritti con grafia incerta e infantile, evidentemente di persona appena alfabetizzata.

            E’ interessante notare come questa semplice storiella, a sfondo moralistico, della quale non ho trovato altri esempi, riesca a trasmettere, pur se con brevissimi cenni, il senso di panico che invade l’avvocato disonesto per l’approssimarsi dell’inevitabile condanna.

 

O KUNTO MON AVOKAO

 

scvrivano rimpicciolito    Io’ mia forà ce ìone ena’ avokao ce io’ poddhì malandrino: atto rucho tos kristianò èkanne palàdia ce mia’ masseria pu èftaze pu ‘ttunana embrò ston an Brizio. Depoi ena’ kristianò epirte ‘s tutto avokao ce ipe: – Evò echo mia’ kàusa, esù mû’ kanni? – Gnorsì, jatì de’? Fèremu ìkosi lire ti ènna kàome a chartia. – Gnorsì -. Pirte ce èfere es ìkosi lire, ce o avokao ‘en iche na kai tìpoti, ce u tes fùrnefse uttes ìkosi lire, ce ‘e guike tìpoi mi’ kausa.

            Depoi pianni mian emera, sti’ massaria, ce ite ena’ personaggio ce u tûpe: – Kalòs irte! – Ce o avokao: – Kalòs irte! – Kalòs irte, signor avvocato! – tûpe. O personaggio o’ kulusa pu ‘mpì ce iso avokao tràmasse. Pianni ce ìdane ena’ vekkiaruddhi pu tu skàppefse o rekkuddhai: – Arte en ora, diàvale, a’ te’ na profiteftì. – Evò ‘e trovo rekka, etrovo carne umana -. Tuo nsìgnase na tramassi pleo poddhì.

            Epianni ce ftàsane sti’ massaria, ce iche i’ massara ce iche pente pedàcia ce ola isa kua’: – Mamma, telo pappa! – Addho: – Telo na pio! – Addho: – Ndìsemu! – ‘Nsomma, in estonèfsane, ce cini ipe: – Eh, pu na sas piai o mavro! – Uso avokao tûpe tunù: – Arte en ora, a’ te’ na fai krea umano. – Evò ‘e telo sangue innocente telo sangue katarante -. Tuo pleo tràmasse. Ekusti ena’ rùscio mea mea, on efsìkkose ce o’ pire ston anfierno. E massara èbbie otikanè.

            O kunto ‘e pai pleo, ena’ sordo mereteo.

 

 

                                                                                  (Calimera)

 

icona italiano

L’AVVOCATO E IL DIAVOLO

 

C’era una volta un avvocato alquanto furfante: con i soldi della gente s’era fatto palazzi ed una masseria grande da qui fino alla chiesa di san Brizio. Un giorno si recò da questo avvocato un brav’uomo e disse: – Ho una causa da sostenere; puoi difendermi tu? – Certo, perché no? Portami venti lire per preparare i documenti. – Sissignore -. L’uomo tornò con le venti lire, ma l’avvocato non fece nulla; gli rubò i soldi e lasciò perdere la causa.

Un giorno, mentre andava alla masseria, l’avvocato vide uno strano personaggio: – Salve, – gli disse. – Benvenuto, – rispose l’avvocato. – Ben trovato, signor avvocato! – Lo strano personaggio si mise a seguirlo da vicino e l’avvocato cominciò a tremare. S’imbatterono in un vecchietto cui era scappato un porcellino: – Questo è il momento, diavolo; approfitta, se vuoi. – Non mangio maiali, mangio carne umana -. All’avvocato venne ancor di più la tremarella.

Giunsero alla masseria. C’era la moglie del massaro con cinque ragazzini, tutti della stessa età: – Mamma, pappa! – diceva uno; e l’altro: – Mamma, acqua! – E l’altro: – Vestimi! – Insomma, le avevano fatto scappar la pazienza: – Eh, andate al diavolo! – esclamò la donna. – Questo è il momento, – disse di nuovo l’avvocato, – di mangiare carne umana. – Non voglio sangue innocente, voglio sangue di criminale -. Ancora di più l’avvocato tremava. Si sentì allora un boato fragoroso; il diavolo afferrò l’uomo e lo trascinò nell’inferno. La proprietà restò tutta al massaro.

Il racconto è terminato,

ed io un soldo ho meritato.

 

(Calimera)

 

 

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