“In mezzo sta il cuore” (“Stamesa stei e kardia”) – Comizio del 1948

“La prima consultazione elettorale è giunta e gli schieramenti politici, pur così molteplici, sono ridotti dal popolino ai due grandi antagonisti: Democrazia Cristiana e Partito Comunista. I partiti minori (…) non sono noti che alle poche persone istruite. Compito arduo dunque introdurre il P.S.D.I.! Ma a Gino Aprile non mancano le trovate, nè tanto meno il linguaggio adatto.” (Vito Giannone)

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“Sono il vostro Luigi” (“Ime o Loìcissa”) – Comizio del 1951

“Appartenere al popolo ed averne condiviso le sofferenze è titolo sufficiente per chiedere ad esso la fiducia ed i voti per poterlo rappresentare, in alto. Questo discorso potrebbe sembrare demagogico (…) ma apparirà diverso quando si sia consnderata l’indole dell’autore: piuttosto ingenuo, un po’ sognatore, sinceramente convinto che la politica sia l’arte di far del bene e di curare gli interessi di chi concede la propria fiducia e i propri suffragi.” (Vito Giannone)

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La “legge truffa” (E leggi to’ ladro) – Comizio del 1953

“Il livello di informazione nel 1953 (in un piccolo paese del Sud) non era alto. (…) La ‘legge truffa’ era una parola e niente altro. Pochissimi capivano cosa significasse. Ci voleva qualcuno che con poche parole, ma precise e compendiose, ne chiarisse pubblicamente il significato. Il più adatto era il solito Gino Aprile (…) che con questo breve discorso, condotto nel suo solito stile secco e incisivo, spazzò via demagoghi e corruttori di idee…” (Vito Giannone)

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“L’edera, l’ha mangiata la capra” (“O fiddho, tôfe e itsa”) – Comizio del 1956

“I colpi bassi sono una pericolosa costante nei metodi di lotta dei soliti politicanti di ventura. Brutto sistema, specie perchè sfrutta la scarsa informazione delle masse. Cambiare idea è un conto, ma cambiare soltanto il simbolo è ben altra cosa. Gino Aprile non si presentava più ai suoi elettori con l’edera, ma con le spighe. Non per questo tuttavia erano mutate le sue idee…” (Vito Giannone)

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Chissà, rondinella (Àremo rindinèddha)

Questa poesia, pubblicata il 25 aprile del 1900 sulla rivista “Roma letteraria” da Giuseppe Gabrieli, divenne subito popolare. Al suo successo contribuì pure, come nota Giannino Aprile in “Traùdia”, “la melodiosa e triste musica che le diede, pare, il maestro Costanzo”.
In essa il poeta ritorna con la mente, come fosse una rondine, al suo paese natio, ritrovandovi luoghi, persone, affetti lontani.

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