La poesia in griko di Angela. Introduzione

Nata a Calimera nel 1932, dove morì prematuramente nel 1977, Angela Campi Colella fu insegnante, poi direttrice didattica. All’attaccamento al lavoro ed alla famiglia unì altre due passioni, la poesia e lo studio della cultura popolare del suo paese. Partecipò spesso a concorsi di poesia, ottenendo riconoscimenti e segnalazioni. L’amore per il griko è testimoniato dalle composizioni che qui vengono riportate. Nel dicembre del 2003 l’Amministrazione Comunale ha intitolato al suo nome la Scuola per l’infanzia di Calimera.

 

Nei testi in griko che Angela Campi Colella ci ha lasciato traspare un’adesione affettuosa e nostalgica nei confronti del mondo contadino, delle sue tradizioni, della sua cultura. Non si tratta però di un sentimentalismo anacronistico o di maniera: non vi è, nelle situazioni del passato che vengono descritte, né esaltazione né rimpianto, anzi una sottile vena di divertita ironia percorre le varie descrizioni di usanze e abitudini di un tempo.

Anche nella trattazione del tema amoroso non c’è, da parte della nostra poetessa, alcuna retorica, né ci sono luoghi comuni. Prendete, ad esempio, la poesia, Èmine korasi; l’amore qui descritto è, per così dire, sottinteso: è sogno, speranza, attesa, fantasticheria, e poi disincanto, vano e sofferto vagheggiamento. Notate le immagini, nelle quali rivive il passato, con le sue regole e le sue abitudini: la giovane ricamatrice innamorata non parla, non esprime sentimenti, semplicemente lavora con solerzia e riversa nel ricamo il suo nascosto desiderio; il suo dovere nella società contadina è quello qui descritto, preparare il corredo nell’attesa che arrivi l’uomo dei suoi sogni; le sue emozioni sono tutte in quel “cuore che vola” silenziosamente e di nascosto e che può dialogare, confidarsi soltanto con l’ago, il ditale, la tovaglia, le lenzuola con cui le sue mani esperte sono in una continua e complice comunicazione. La conclusione amara della poesia trasmette al lettore un sentimento di malinconica partecipazione, di compassione, di solidarietà; non si ride di questa “zitella” che ha buttato al vento la sua giovinezza e che ora affida al cielo la sua nostalgia.

L’amore descritto da Angela è tutto declinato al femminile. Generalmente nelle composizioni della letteratura grika (che riflettono una cultura contadina) la donna è oggetto, non soggetto d’amore, è amata, sognata, cercata; lei può corrispondere o può negarsi, ma non prendere l’iniziativa. In queste poesie, invece, la donna, pur restando chiusa in un tormento ed una passione del tutto interiori, si svela come persona che soffre, che desidera, che cerca, che ama anche se non è riamata (come in Dàmmia ts’agapi). E tuttavia non esce fuori dal ruolo che la tradizione le ha affidato: chiede aiuto alla luna perché realizzi il suo desiderio, ma non può che restare in fiduciosa attesa.

Un’ultima annotazione vorrei fare, a commento delle composizioni riportate. Ed è sulla forma. Non è facile trovare in una poesia grika dei nostri poeti dell’ultima generazione unite insieme la spontaneità, la scioltezza della lingua popolare e la precisione formale dei versi, delle rime, degli accenti. Angela è un’eccezione. Probabilmente la consuetudine e l’esperienza della scrittura poetica in lingua italiana le hanno consentito di padroneggiare con grande competenza gli aspetti tecnico-formali del verso e quell’esperienza è stata riversata anche nel griko. Comunque sia, non si può non rimanere ammirati della perfetta costruzione di queste poesie, che comunicano, anche attraverso la gioiosa musicalità che le caratterizza, il fascino di una lingua e di un mondo che non vorremmo veder svanire dalla nostra memoria.

Salvatore Tommasi

I testi riportati sono tratti da: AA. VV. Loja j’agapi, Calimera, 1997, pagg. 78-109.

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