Lettera aperta sul griko

Lettera aperta sul griko

agli Amministratori della Grecìa Salentina

 

 

Gentili Amministratori,

 

mi permetto di rivolgermi a Voi, in quanto rappresentanti delle diverse Comunità della Grecìa Salentina, per parteciparvi alcune riflessioni sul griko, il singolare e inestimabile patrimonio linguistico/culturale che, sapete, le passate generazioni ci hanno consegnato.

Lo faccio come semplice cittadino di queste Comunità e come ultimo rappresentante (a livello generazionale) di una lingua appresa come lingua materna, nella sua semplice oralità, forma nella quale essa è sopravvissuta. Mi spingono a farlo i sentimenti di affetto che ad essa mi legano, ma anche la consapevolezza della significatività e della ricchezza che per noi essa racchiude.

Potrebbe apparire scontato e ovvio aspettarsi, da parte dei cittadini della Grecìa, un diffuso e convinto riconoscimento del valore e dell’importanza di questo patrimonio, e che da tale convinzione derivino comportamenti conseguenti. In realtà così non è.

Se si volessero descrivere, in una sorta di graduatoria, gli atteggiamenti più diffusi in merito, direi che si va da una circoscritta, nostalgica esaltazione (che di solito unisce lingua e passato in una comune venerazione), ad un vago desiderio e proposta di ripristino del griko nella comunicazione, ad una sostanziale indifferenza sulla questione, ad un atteggiamento di fastidio e chiusura difensiva (quasi che l’esistenza e la riproposizione di questa lingua possa frapporsi al raggiungimento pieno della modernità), ad un vero e proprio disprezzo da parte di chi continua ad attribuire al griko la connotazione di subalternità, povertà ed arretratezza che la cultura dominante gli ha assegnato nell’ultima fase della sua esistenza.

In tutta sincerità, non credo che gli atteggiamenti in qualche modo positivi siano prevalenti.

Vorrei per un momento includere anche Voi (ma si tratta di una semplice finzione utile ad esplicitare meglio il mio pensiero) tra quelli che non hanno del griko una grande considerazione. Non perché non ne riconosciate il valore storico, ma perché non ritenete che esso possa avere un ruolo di qualche rilevanza nel presente delle nostre Comunità e, soprattutto, nel futuro.

Sicché mi accingo a perorare presso di Voi la causa del griko. E di esplicitare alcune considerazioni ed alcune proposte.

Premetterei che il senso ultimo e la ragione della nostra Unione dei Comuni che va sotto il nome di Grecìa Salentina sta proprio in questa tradizione linguistica. Riprendendo un’immagine già usata, direi che la Grecìa Salentina senza il griko non sarebbe che un guscio vuoto. Ma – osserverete – se questa lingua scompare, non è colpa di nessuno. Fa parte della sua natura, condividendo anch’essa, come ogni cosa umana, l’essenza della nostra condizione. E che il griko stia scomparendo, come lingua di comunicazione, è sotto gli occhi di tutti. La sua trasmissione naturale, com’è noto, si è interrotta e non è possibile ripristinarla.

Questo è vero. E’ la realtà. Anzi, questa è proprio la realtà di cui dobbiamo essere consapevoli e che dobbiamo condividere. La realtà da cui partire. Solo che da simile consapevolezza non deve conseguire, a mio parere, un atteggiamento di rassegnazione e di resa (né aiutano la nostalgia, l’illusione, l’improperio, la lamentazione), ma piuttosto un atteggiamento di responsabile e realistica concretezza. Per non rendere incongrue e, alla fine, inutili le azioni che si mettono in campo.

Ho trovato in un recente studio antropologico sulle nostre Comunità un’affermazione che credo importante e che vorrei riferirvi. “Essere dentro una tradizione significa operare per produrre il futuro, significa dar vita a una tradizione di riferimento, senza la quale non è possibile un tempo ulteriore”.

Credo sia un’affermazione giusta e che ci riguardi. Potremmo, riferendola a noi, tradurla così: se guardiamo alla nostra tradizione linguistica con lo sguardo al futuro, considerando l’impossibilità della sua sopravvivenza nella sua forma naturale di mezzo di comunicazione, dobbiamo convertirla in qualcosa d’altro, dobbiamo sostituirne l’uso, direi, con il “culto”, nel senso etimologico di questa parola, cioè la cura, la coltivazione. Sicché non l’uso, ma il “culto” del griko diventa il nostro tratto distintivo.

Talvolta ho usato l’espressione di mutazione genetica del griko, perché se ne possa avere la sopravvivenza: da lingua solo parlata, cioè, a lingua essenzialmente scritta. Ecco, io ritengo, sulla scia di quanto intuito e messo in atto dagli studiosi che, a partire dall’Ottocento, si sono occupati della nostra lingua, che la scrittura ci permetta di trasformare il griko da mezzo di comunicazione a “oggetto” di cultura e di studio (di “culto”, appunto) e, in quanto tale, ci consenta di renderlo trasmissibile per altra via, quello dell’insegnamento formale. Per proporlo così, in questa veste, alle nuove generazioni. Si tratta di un compito per noi impegnativo, ma, a mio avviso, possibile e doveroso.

Perché dovremmo farlo? E come dovremmo farlo?

La risposta alla prima domanda è forse quella più importante: sono le convinzioni, infatti, che animano e spingono la volontà, che costituiscono la base dell’azione politica. E, a proposito di quanto si sta dicendo, credo che il ruolo da svolgere e la responsabilità da assumere da parte di Voi amministratori sia grande. Difficile, anche: perché, in qualche modo, si tratta di andare controcorrente rispetto all’opinione comune. Si tratta di assumersi il compito, da rappresentanti politici, di indicare una strada, di convincere i propri concittadini e spingere perché sia intrapresa.

Il griko, come ho già accennato, reca con sé lo stigma della povertà, della subalternità, dell’arretratezza. Del mondo contadino, insomma. Del passato. In realtà, il griko è impregnato della civiltà contadina che lo ha tenuto in vita: fa tutt’uno con essa, la porta dentro di sé, la esprime. Ora, noi non dobbiamo negare o nascondere queste sue caratteristiche. Esse sono la sua storia. Sono la nostra storia. Con la quale dobbiamo comunque confrontarci, per riconoscerci a andare avanti.

Pertanto non è nostro compito, credo, snaturare il griko, modernizzarlo, travisarlo, forzandolo ad assumere degli abiti moderni, magari per adeguarlo a canoni altrui. Dobbiamo piuttosto riconoscerne l’essenza e rispettarla. Detto diversamente: pur trasferendolo nella scrittura, dobbiamo mantenere la semplicità e l’essenzialità spontanea e genuina della sua “oralità”. Riconoscere nel suo esiguo ambito semantico il suo tratto distintivo e il suo pregio.

Vorrei fare un paragone. Se ci riferiamo ad un bene architettonico del passato, oggi abbiamo una consapevolezza diffusa circa la necessità di proteggerlo, eventualmente restaurarlo, rispettandone gli elementi che si sono conservati, per “riviverlo”, se possibile, o semplicemente ricercare e ammirare i suoi tratti funzionali o artistici. Sappiamo che in esso possiamo leggere la nostra storia.

Per la lingua vale la stessa cosa. Essa, però, è un bene immateriale. Tale particolarità ci lascia un po’ perplessi. Occorre tuttavia osservare che una lingua non è semplicemente un mezzo di comunicazione, essa è anche un concentrato di pensiero, di umanità, di vissuti, di sentimenti, conservati nella memoria collettiva o elaborati dalla creatività individuale, ed espressi in opere artistiche di vario genere. Anche sotto questo aspetto, il nostro patrimonio è considerevole e suggestivo.

In conclusione, il griko, sia in quanto singolarissimo elemento di identità, sia come strumento di ricostruzione storica, sia come patrimonio artistico/letterario, possiede tutte le caratteristiche per giustificare e motivare, a livello politico/amministrativo, particolare attenzione e forte impegno. Con l’obiettivo di:

–  dare anzitutto agli ultimi parlanti consapevolezza della dignità e del valore della loro lingua;

– consentire e agevolare l’opera di formalizzazione della lingua, nonché della raccolta, incremento e diffusione del suo patrimonio artistico;

– spingere le nuove generazioni ad accostarsi al griko con rispetto e in maniera corretta.

 

Gentili Amministratori, se ho ritenuto di dover premettere e riproporre questo lungo discorso di “principi” non è certo perché ritenga che in tutti questi anni ci sia stato un vuoto di impegno e di iniziative, sia a livello istituzionale che associativo, per la salvaguardia del griko. Tutt’altro.

Un’esplosione di interventi e di iniziative ha anzi caratterizzato gli ultimi decenni in quest’ambito. D’altro canto, l’approvazione di leggi importanti sulle minoranze linguistiche ha agevolato e sollecitato l’elaborazione di progetti.

Tante iniziative, tuttavia, sulle quali è forse necessario fermarsi a riflettere e discutere (come, mi pare, qualcuno di Voi sente giustamente l’esigenza di fare). Ed è anche per questa eventuale discussione che il mio intervento intende essere un contributo.

Il più grosso elemento di debolezza delle iniziative messe in campo per il griko è stato infatti, a mio avviso, il loro mancato coordinamento. Salvo qualche eccezione, si è andati avanti in ordine sparso, in maniera, per così dire, anarchica. Piuttosto che utilizzare le leggi per perseguire obiettivi utili e condivisi, ci si è mossi spesso a rimorchio delle leggi, con una loro acritica, a volte incongrua, attuazione.

Questa assenza di una prospettiva comune e condivisa ha reso le iniziative, nel loro complesso, disorganiche e di corto respiro, come un fuoco d’artificio, bello da vedere ma effimero.

Al contrario, la validità di qualsiasi intervento in questo campo è subordinata all’idea di futuro che per il griko si vuole (si può) perseguire insieme. In particolare, e concretamente, se si ritiene condivisibile il discorso svolto fin qui, alcune priorità, in un’azione (programmazione) politico/culturale che riguardi il griko, possono essere individuate.

Mi permetto di indicarne qualcuna. E stavolta in un ordine inverso rispetto agli obiettivi sopra elencati.

 

1) L’insegnamento scolastico. Si tratta dell’obiettivo chiave, il più importante. Perché rivolto ai nostri figli e nipoti, cioè al futuro. La “tradizione”, per noi, da inventare, da istituire, su cui investire. L’obiettivo anche più difficile da realizzare. In realtà le leggi ci hanno consentito in questi anni di attuarlo, e noi lo abbiamo fatto. Ma con superficialità e impreparazione, come se fosse la cosa più semplice di questo mondo. Abbiamo mandato dei ragazzi allo sbaraglio, senza dire loro che cosa insegnare, perché, come farlo, con quali strumenti, con quali obiettivi, con quali tempi. Esponendoli così al fuoco di fila dei genitori, che hanno generalmente ritenuto quell’insegnamento una perdita di tempo. Non abbiamo considerato la delicatezza, la difficoltà, la cruciale rilevanza dell’operazione. E invece è questo che va fatto, in uno sforzo collettivo e condiviso. Bisogna riflettere, discutere, elaborare, proporre, sperimentare, preparare. Nessun insegnamento si improvvisa, tanto meno quello di una lingua appresa finora solo “naturalmente” nell’infanzia. Ma, d’altra parte, il futuro del griko, come ho già cercato di spiegare, è legato alla nostra capacità di “costruire” questo insegnamento, renderlo appetibile, attuarlo. Insomma, questo è il primo compito che affiderei alla Vostra fantasia e capacità amministrativa.

 

2) La divulgazione. Il secondo compito è più semplice. Anche perché si tratta, in questo caso, di seguire l’esempio, di continuare. C’è stato uno studioso di primo piano, Vito Domenico Palumbo, che oltre un secolo fa ha iniziato questo lavoro, per quello che ha potuto, e comunque ci ha lasciato un materiale immenso per poterlo fare noi. Direi che negli ultimi anni le iniziative in questo settore sono state più fruttuose. Anche qui, a mio avviso, si tratta di coordinare e orientare le attività, programmarle, dando loro, più che un carattere di studio (utile e prezioso, naturalmente, ma già ampiamente realizzato), uno di fruizione leggera e accattivante. E’ facile osservare, del resto, come tra i contributi importanti, specialistici, offerti da linguisti e filologi (o storici, antropologi) sulla nostra lingua e la nostra cultura e, poniamo, un giovane studente dei nostri paesi, manca un livello di mediazione che permetta di far accostare il giovane a quegli studi e alla lingua in maniera culturalmente significativa e dignitosa (ad esempio: esiste un libro che parli del griko in modo conveniente e qualificato ad uno studente del Classico del nostro territorio?). Infine, anche (forse soprattutto) le attuali tecnologie multimediali ed i vari canali di comunicazione possono essere, naturalmente, utilizzati con profitto per i nostri scopi.

 

3) Il recupero dell’autostima. Può il griko riprendere per noi (come è stato per le generazioni passate) la funzione di segno privilegiato di identità ed essere orgogliosamente esibito piuttosto che svilito e marginalizzato? Io credo di sì, se riusciamo, come dicevo, a farne un “culto”. Intanto valorizzandone le opere più belle e significative. Poi, rendendolo “pubblico”, portandolo in piazza. Riprendere aspetti della tradizione è importante, a mio avviso, ma bisogna saperli adattare e accostare alla sensibilità di oggi: inserirli in un contesto, renderli parte di un tutto. Una funzione encomiabile svolgono, mi sembra, in questa direzione, i gruppi musicali che inseriscono canti in griko nel repertorio (e non sarebbe inopportuno chiedere loro di essere non solo cantori, ma anche promotori della lingua). Incentivare rappresentazioni teatrali, caratterizzare linguisticamente qualche aspetto delle feste, sagre, manifestazioni che già si svolgono, bandire concorsi di scrittura, organizzare momenti di conoscenza del patrimonio letterario griko: sono tutte iniziative che possono, se ben coordinate e condivise, concorrere a rivalutare e dare dignità alla nostra tradizione. Se poi (per pensare in grande) la Grecìa riuscisse anche, da piccola minoranza, a diventare un centro di incontro, confronto, scambio, delle minoranze ellenofone nel mondo, questo potrebbe aprirci a ben altre prospettive.

 

Prima di concludere, gentili Amministratori, vorrei scusarmi con Voi per l’ardire di questa lettera, e per avervi forse importunati. Conosco le quotidiane incombenze e le difficoltà nelle quali vi barcamenate e non mi è estranea, al di là dei sogni, l’amara consapevolezza della realtà. Ma per un momento mi sono lasciato sopraffare dall’insistente pungolo del demone socratico e ho dato voce ad un senso di dovere verso la generazione dei miei, nostri, genitori. So bene che, se alla fine mi doveste chiedere a che serve, concretamente, e in soldoni, il griko e tutto quello che fin qui Vi ho proposto, Vi risponderei: a niente. In realtà non è il parametro della “utilità” quello con cui vanno misurate queste cose. Sarebbe perdente confrontarsi su tale base. Il parametro giusto è, invece, quello del “senso” (da dare a noi stessi, ai nostri figli, alla nostra Comunità). Sappiamo infatti che, a differenza di tutti gli altri animali, gli uomini, per vivere, oltre a soddisfare le loro necessità, hanno bisogno di darsi un senso. Cercano un senso. E, a rifletterci, è sempre il passato a fornirglielo. Perché è attraverso il passato, la memoria collettiva, la cultura ereditata e creata che noi, in fin dei conti, riusciamo a costruire la nostra identità e a dare senso alla nostra vita.

 

Cordialmente.

 

Salvatore Tommasi

 

 

 

 

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